Finita e sepolta la cucina molecolare con tutte le sue sferificazioni, schiume e arie siamo passati a questi piatti con 3864 ingredienti, il più delle volte costosissimi o che comunque necessitano di lavorazioni lunghissime e pertanto costosissime, per 20 grammi di prodotto in piatti immensi e coreograficamente stupendi. Se sei bravo, ma bravo bravo, di questi 3864 ingredienti ne riesci a percepire 3 o 4!
Tutto il resto dell’ambarandan cosa serve? Forse a creare un’armonia, forse a dare rotondità/verticalità/espressività oppure qualche cosa che non so. Per molto tempo mi son anche divertita ad andare in ristoranti, stellati o meno, che propongono questa tipologia di cucina ma poi cosa mi è rimasto?
Cosa è rimasto impresso nella mia mente in maniera indelebile che mi fa ricordare immediatamente il luogo, il piatto, le emozioni? Poco o nulla. Mi direte che gli anni passano e la mia memoria traballa. Può essere ma ci sono dei piatti che non scorderò mai. Per esempio un dessert da Giuliano Baldessari, crema carbonizzata, dove l’amaro della liquirizia era il gusto predominante ma un amaro che ti invogliava a continuare a mangiare, goloso, intrigante. Il risotto alla salvia di Antonia Klugman in cui sentivo la fragranza di questa aromatica e mi sembrava di camminare sul sentiero della salvia a Aurisina. Un altro risotto, questa volta al pino mugo, di Stefano Buttazzoni che mi portava a passeggiare in montagna stando seduta al ristorante.
I primi che mi vengono in mente, poi ce ne sono tantissimi altri ma tutti piatti con pochi elementi, ben distinguibili, lavorati benissimo. Ecco, pochi elementi perfettamente distinguibili, che fanno parte del bagaglio gusto/olfattivo di una gran parte di persone. Gusti e sentori conosciuti, che ti tranquillizzano e ti fanno stare bene.
Allora ritornando alla domanda iniziale dove mi piacerebbe andasse la ristorazione di alta qualità che vuol dire tutta la ristorazione, non solo gli stellati ma anche i ristoranti “normali”, le trattorie, quelli degli alberghi. Insomma tutta la ristorazione.
Mi piacerebbe ritornasse indietro per andare avanti.
Mi spiego meglio. Tornare indietro riscoprendo i vecchi gusti, il piacere di mettere in tavola dei piatti composti da prodotti raccolti nei boschi e nei prati, con carni certificate senza antibiotici, con formaggi non industriali, con conserve fatte in cucina, con cibi macerati o messi sott’olio o sott’aceto sempre dalla cucina, con il pane fatto con farine di qualità e avanti così.
Certo c’è tutta la ristorazione veloce/a poco prezzo/autostradale ecc. ecc. che continuerà ad utilizzare bidoni e bidoni di minestre/paste/spezzatini fatti dalle industrie e questa non cambierà mai. Non può, spiace per chi è costretto a utilizzarla. Ma per tutti gli altri che vanno a cena o pranzo fuori una volta a settimana, o quindici giorni, e a cui piace mangiare bene, tra cui io, è quello che auguro ed è quello che vorrei.
Tornare indietro per andare avanti.
Liliana Savioli
Liliana Savioli
Giornalista, Padovana DOC, Sommelier, esperto degustatore internazionale e docente, fa parte dell’Associazione ACAUD in qualità di sensorialista. Cavaliere della Vitovska e Ambasciatrice del Festival Internazionale delle Malvasia di Portorose. Partecipa regolarmente alle commissioni per la determinazione delle DOC E DOCG del FVG. Collaborazione con Riviste di settore anche come delegata regionale del FVG.