Premessa, cenni sul territorio e considerazioni
Frequento il Taste sin dalla prima edizione tenutasi nel 2017, sono passati ormai sei anni e puntualmente ritrovo gli stessi pregi ed alcuni elementi da migliorare. Amo pensare ad un’originale metafora del carattere dei novaresi e in generale di tutti coloro che abitano le terre dell’Alto Piemonte, me compreso ovviamente. Lo scopo del mio appunto è quello di perfezionare un evento che a mio avviso non potrà che diventare sempre più grande, perché “grandi sono i vini che storicamente vengono prodotti tra queste colline”.
Le stesse sono divise in due dal fiume Sesia e protette dalle possenti braccia del Monte Rosa, caratterizzate da terreni in parte morenici, soprattutto nel versante novarese e nell’Ossola, vulcanici nel vercellese e nel territorio di Boca (NO), altresì ricchi di sabbie plioceniche in alcuni versanti del biellese. Ce n’è per tutti i gusti insomma ed infatti a distanzi di pochi chilometri è possibile degustare vini completamente diversi. A tal riguardo sento il dovere di far luce su un aspetto che mi auguro di ritrovare, durante il prossimo Taste Alto Piemonte, in “accezione positiva”.

Le denominazioni sopracitate, ognuna con le proprie caratteristiche, hanno in comune un elemento più di tutti: la longevità dei propri vini. Escludendo per ovvie ragioni le prime due: Colline Novaresi e Coste della Sesia, le stesse che escono sul mercato molto prima per ragioni legate al disciplinare – o le giovani Aziende che hanno appena iniziato – perché non presentare tutti la stessa annata?

Una degustazione espressa in questi termini metterebbe più in risalto le tante peculiarità, e micro-differenze, che rendono l’Alto Piemonte uno dei territori maggiormente vocati per quanto riguarda sua maestà nebbiolo, il re incontrastato di queste colline; soprattutto agli occhi della stampa internazionale che magari si avvicina al territorio per la prima volta.
Non bisogna dimenticare l’importante funzione di altre cultivar del territorio quali: erbaluce, vespolina, uva rara e croatina; uve autoctone che fanno parte della tradizione e che assieme al nebbiolo il più delle volte sono parte integrante della stessa DOC o DOCG.
Veniamo ai migliori assaggi divisi per denominazione non prima di aver ringraziato Andrea Fontana, presidente del Consorzio Di Tutela Nebbioli Alto Piemonte e Lorella Zoppis, vicepresidente e responsabile eventi e promozione, per l’invito riservatomi; oltre a i sommelier AIS che si sono distinti per il servizio impeccabile.
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Colline Novaresi DOC
Come ogni anno non posso che iniziare la rassegna con l’unico bianco presente all’interno della lista di vini proposta dal Consorzio, il Costa di Sera dei Tabacchei di Alfonso Rinaldi, annata 2022; un erbaluce in purezza dai toni agrumati e floreali e dalla vibrante sapidità che caratterizza da sempre una tra le etichette cult del territorio.
All’interno della denominazione novarese, tra i rossi, si sono particolarmente distinte le seguenti cantine: Damiano Cavallini con il Colline Novaresi Caramino 2019 e il Roccolo di Mezzomerico con il Colline Novaresi Valentina Vendemmia Tardiva 2017.
Vini diametralmente opposti, stilisticamente parlando, tuttavia accomunati da un frutto espressivo e una speziatura fine ed invitante; stessa musica al palato: slancio e buona progressione in termini di profondità gustativa.
I restanti 5 campioni: tre dell’annata 2019, uno della 2018 e infine l’ultimo della 2020 a mio avviso hanno mostrato un assetto non propriamente compiuto, tonalità ancora un po’ troppo vegetali e un frutto fin troppo maturo considerando la giovane età.
Occorre a mio avviso calibrare meglio alcuni aspetti legati al ciclo della vite e al periodo vendemmiale, perché il cambiamento climatico negli ultimi anni sta stravolgendo troppi parametri, bisogna tassativamente correre ai ripari adottando con costanza tecniche agronomiche ben precise e ormai note.

Coste della Sesia DOC
La denominazione vercellese e biellese, caratterizzata dalle colline che risiedono sulla sinistra orografica del fiume Sesia, quest’anno è stata rappresentata da sole due Aziende: Tenute Vercellino con l’annata 2020, la vera rivelazione del Taste a mio avviso, e Centovigne mediante il Castellengo 2015. Sento di menzionarle entrambe perché i vini proposti rispecchiano fedelmente le peculiarità di quest’area vitivinicola, ovvero: frutti rossi croccanti e spigliati, accenti legati al terreno di impronta salmastra e una spezia dolce e sinuosa che avvolge. In bocca prevale la freschezza, ben più pronunciata nel primo vino, e la morbidezza e sapidità a vantaggio del secondo grazie anche ad un affinamento maggiore.
Fara DOC
Fara è la prima DOC che si incontra arrivando da Novara in territorio altopiemontese, il nebbiolo è protagonista coadiuvato da vespolina e uva rara. Tre le Aziende presenti nell’elenco dei 46 vini degustati, due quelle che si sono particolarmente distinte: Francesca Castaldi Fara 2018 e Gilberto Boniperti Fara Barton 2020. La percentuale del 70/80 % di nebbiolo restituisce un naso elegante, austero ed un frutto carnoso e al contempo slanciato. La nota di pepe nero, data dalla vespolina, e le percezioni minerali legate all’argilla presente nei terreni tornano anche al palato in termini di densità gustativa e sapidità, soprattutto nel primo campione.
Sizzano DOC
Sizzano è il comune che si incontra appena dopo Fara, i terreni sono in parte simili e anche il disciplinare non si discosta molto da quello precedente. Dei due vini presentati, ovvero Cantina Comero Sizzano 2018 e Vigneti Valle Roncati Sizzano 2015, sento di esprimente un parere che più o meno si equivale. Vini intensi, sia in termini di aromi che di gusto, il frutto da queste parti è leggermente più pronunciato e richiama l’amarena matura, coadiuvato da una spezia sinuosa e percezioni di cuoio, tabacco e cacao. Simpaticamente potrei definirlo tra i più “baroleggianti” del territorio novarese.

Ghemme DOCG
Unica DOCG della provincia di Novara, quest’anno erano presenti ben 10 campioni di Ghemme tra cui una Riserva.
La maggior parte dei vini dell’annata 2017 (5), 2018 (2), 2016 (1) e 2015 (2).
In ordine di gradimento di seguito le etichette che mi hanno maggiormente colpito: Tiziano Mazzoni Ghemme ai Livelli 2017, Mirù Ghemme Vigna Carelle 2017, Torraccia del Piantavigna Ghemme Vigna Pelizzane 2015, Pietraforata Ghemme 2016, Filadora Ghemme 2017.
Oltre ad una complessità olfattiva a tratti entusiasmante devo riconoscere che questi cinque campioni hanno mostrato un equilibrio maggiormente centrato e una notevole capacità di leggere il territorio nonostante il cambiamento climatico.
Ad un soffio da queste cinque è corretto segnalare altre due aziende che hanno presentato vini interessanti e che necessitano semplicemente di un po’ più riposo in cantina: Platinetti Guido Ghemme Ronco Maso Riserva 2018 e Ioppa Ghemme Santa Fè 2017.
Boca DOC
L’ultima denominazione novarese è il Boca, area vitivinicola caratterizzata da un suolo ricco di porfidi di origine vulcanica, svariati minerali e da un pH basso. Da queste parti il nebbiolo assume toni differenti rispetto alle altre aree della provincia, anche per via dell’altitudine che spesso supera i 450 metri sul livello del mare.

Quattro i vini che ho avuto la possibilità di degustare: due dell’annata 2018, uno della 2019 e l’ultimo della 2013. Al di là di una buona performance generale, tre i campioni che si sono imposti per doti di leggiadria, complessità, appartenenza al territorio e compiutezza, e sono: Le Piane Boca 2019, Tenute Guardasole Boca 2018 e Podere ai Valloni Boca Vigna Cristiana 2013.
Ovviamente sto parlando di vini diametralmente opposti, i cinque o sei anni di differenza in tema di vendemmia si fanno sentire, tuttavia rimane un ricordo comune di freschezza balsamica nella mente, toni agrumati di grande slancio ed effluvi empireumatici, soprattutto nel Vigna Cristiana.
La beva è a tratti compulsiva. Bella prova anche per il Boca della Cantina Barbaglia che a mio avviso ha solo bisogno di un po’ più di tempo, i vini di Sergio li conoscono molto bene e mi sarei francamente meravigliato del contrario.
Bramaterra
Passiamo alla sponda sinistra del fiume Sesia e ad una denominazione divista tra due province: Vercelli e Biella. Troviamo anche in questo caso il classico assemblaggio a prevalenza nebbiolo, tuttavia, tra queste colline ricche di porfidi nella prima area citata e sabbie plioceniche nella seconda, vi è una maggior presenza di croatina rispetto alla vespolina. Due i campioni proposti, entrambi mi hanno pienamente convinto.
Il primo è Il Bramaterra 2019 di Odillio Antoniotti dai toni ariosi, slanciati, soprattutto al palato, con rimandi ai piccoli frutti rossi di bosco, arancia rossa sanguinella e una sottile vena minerale di ruggine e terriccio bagnato. Un sorso di grande classe e profondità. Sulla stessa linea d’onda il Bramaterra Balmi Bioti Riserva 2018 di La Palazzina che a quanto sopra descritto aggiunge toni lievemente empireumatici e un tocco di liquirizia che si avverte anche in bocca.
Gattinara
Veniamo al vino tanto amato da Mario Soldati e citato da altrettanti scrittori del Novecento, il noto Gattinara prodotto esclusivamente all’interno del comune omonimo in provincia di Vercelli, assieme al Ghemme le uniche due DOCG dell’Alto Piemonte. Terreni ricchi di ferro, porfidi e un suolo di derivazione vulcanica – oltre ad esposizioni notevoli – rendono il nebbiolo, anche chiamato spanna da queste parti, un vino in grado di sfidare il tempo in maniera oserei dire surreale. Il disciplinare in questo caso prevede una percentuale maggiore della cultivar sopracitata (90%) tuttavia, nonostante sia concesso l’utilizzo delle solite uve autoctone locali, i produttori scelgono di vinificarlo in purezza. Dei cinque vini presenti in lista: tre campioni dell’annata 2019, uno della 2017 e un altro della 2018 (Riserva), devo riconoscere in questo caso che la performance globale è stata più che soddisfacente, con vette di assoluto pregio. Sto parlando tendenzialmente di tre vini: Stefano Vegis Gattinara 2017, Antoniolo Gattinara Riserva San Francesco 2018 e Cantina Delsignore Gattinara Il Putto 2019.
Stili differenti, medesima fotografia delle colline di Gattinara caratterizzate da un frutto maturo che sa di amarena, viola, erbe officinali e note ferrose/ematiche con rimandi agrumati e di liquirizia. Le altre due aziende ovvero Caligaris Luca e Franchino, entrambi presenti con l’annata 2019, vantano più o meno le stesse sfumature a tratti coperte da un velo erbaceo ancora non del tutto disciolto e un assetto gustativo un po’ troppo “nervoso”; indubbiamente necessitano ancora entrambi di qualche anno di riposo in cantina per rivelare il proprio fascino.

Lessona DOC
Alla stregua del Gattinara, il Lessona è l’unica denominazione storica del territorio che il più delle volte vede l’impiego di uve nebbiolo in purezza. Il disciplinare prevede anche altri vitigni locali nell’assemblaggio, tuttavia la maggior parte dei produttori predilige quanto sopra specificato, anche per dar lustro alle peculiarità di un terroir di grande rilievo caratterizzato da sabbie plioceniche di origine marina.
Tutto ciò contribuisce a forgiare vini eleganti, fini, longevi e profondamente sapidi, con spiccate doti di bevibilità. Caratteristiche che ho riscontrato in almeno due dei cinque vini degustati. Il primo è il Lessona 2018 di Massimo Clerico, tra i migliori vini degustati al Taste 2023 per doti di leggiadria, grazia e un bouquet che rimanda alle erbe officinali, all’arancia rossa sanguinella unite ad una lieve nota salmastra; un sorso di grande classe che non smette mai di stupire, anno dopo anno. Il Lessona 2015 di La Badina, ad otto anni dalla vendemmia mostra un frutto maturo e un ricordo di canfora, rosolio e sabbia bagnata; grande equilibrio tra parti sapide ed acide e una profondità che pare non abbia mai fine. Altre tre annate in batteria: 2015 Riserva, 2019 e 2020, in questo caso ho trovato vini ancora troppo lontani da un concetto di compiutezza, soprattutto in termini di equilibrio a 360°. Mi riprometto di riassaggiarli in futuro.
Valli Ossolane DOC
Concludiamo la rassegna con l’unica DOC appartenente alla provincia del Verbano-Cusio-Ossola, una denominazione che, al contrario di tante altre, ha tratto “giovamento” dall’aumento delle temperature; basti pensare che fino a qualche decennio fa l’uva in alcuni versanti del territorio faceva fatica a maturare correttamente. Ricordo ai più che trattasi di colline moreniche situate praticamente ai piedi delle montagne dell’Ossola, le vigne più a nord dell’Alto Piemonte. Da queste parti viene allevato da sempre un particolare biotipo di nebbiolo chiamato “prünent”, che restituisce al vino freschezza, slancio, profumi ammalianti e tipicamente alpini, un corpo moderato e un tannino dolce e meno marcante già a pochi anni dall’imbottigliamento. Un vino perfettamente in linea con le richieste attuali di mercato, per questo motivo negli ultimi anni molte giovani aziende stanno pian piano facendosi conoscere. Su quattro vini degustati, tre del 2019 e uno del 2020, si sono imposte due Aziende: Cantine Garrone con il Valli Ossolane Nebbiolo Superiore Prünent Dieci Brente 2019 e La Cantina di Tappia mediante il Valli Ossolane Nebbiolo Superiore Prünent 2019. Vini che rispecchiano fedelmente il DNA del vitigno e le caratteristiche sopracitate.
Andrea Li Calzi
Andrea Li Calzi
Sommelier Ais dal 2011, in tandem con Danila Atzeni, fotografa professionista e sua compagna, autrice, tra l’altro, degli scatti dei suoi articoli, è un grande appassionato per la materia tanto cara a Dio Bacco ed ama la purezza delle materie prime in cucina: proprio l’attività tra i fornelli l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo svariati master di approfondimento sui più importanti territori vitivinicoli al mondo, nel 2021 ha ricevuto il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino. Collabora, altresì, anche con altre note riviste di settore.