di Andrea Li Calzi
NUS Il pittoresco borgo di Nus conta circa tre mila abitanti ed è situato a 9 km da Aosta, affascinante cittadina d’origine romana, capoluogo di una fra le regioni alpine più belle d’Europa. Percorrendo la strada statale che costeggia la ben più utilizzata autostrada A5, soprattutto dai tanti turisti che in giornata arrivano da Torino, Milano ed altre città limitrofe, mi rendo conto che la roccia domina completamente lo sguardo e dà un senso di scurezza.
La Valle d’Aosta ha il grande pregio di riassumere, in appena 80 km di lunghezza e circa 40 km di larghezza, le cime più importanti d’Italia e in gran parte anche del vecchio continente. Alludo al Monte Bianco, Monte Rosa, Cervino e Gran Paradiso; insomma uno spasso per tutti gli appassionati di montagna che da queste parti hanno “soltanto” l’imbarazzo della scelta. Tornando a Nus è corretto asserire che il comune sorge sulla sinistra orografica della Dora, a circa 529 metri sul livello del mare, ed è l’ideale punto di partenza per raggiungere il vallone di Saint-Barthélemy.
Nus, il cui nome è d’origine romana – proviene per l’appunto da “ad nonum (ab Augusta) lapidem” (ovvero la distanza in miglia romane tra Augusta Praetoria-Aosta e il comune sopracitato), è letteralmente circondato da quanto di meglio abbia da offrire la natura. Percorrendo su e giù i sentieri del piccolo borgo è possibile rendersene conto: un crogiuolo di castagneti, prati, alberi da frutta e soprattutto vigneti.
Non dimentichiamo che tra queste colline montane viene allevato il vien de nus, vitigno autoctono valdostano a bacca rossa – oggi praticamente scomparso al di fuori della regione – già apprezzato in epoca romana. Mediante questa cultivar molto particolare viene prodotto il vino Valle d’Aosta Doc Nus Rouge, e con l’ausilio del pinot gris, celebre uva francese – localmente chiamata malvoisie – il Valle d’Aosta Doc Nus Malvoisie; a mio avviso, tra i migliori passiti d’Italia. In rotta dunque verso il Vallone di Saint-Barthélemy, uno dei tanti che in oltre trent’anni di assidua frequentazione valdostana ho deciso di visitare, mi fermo per consumare il proverbiale pranzo della domenica presso uno degli agriturismi a mio avviso più interessanti della regione.
MAISON ROSSET La storia della famiglia Rosset si perde nella notte dei tempi. Il capostipite del nobile casato fu Jean-Pantalèon, che a Nus – sin dai primi del XVIII secolo – mise radici mediante gli edifici da lui costruiti. Alludo alla casa padronale e all’azienda agricola, edificate con i materiali rimasti dalle rovine della casa-forte di Moraley, in seguito alla vendita del castello di Nus. Oltre duecento anni di storia legata alle tradizioni valdostane, le stesse che la famiglia Rosset porta avanti con passione e profonda conoscenza del territorio e dei suoi grandi prodotti enogastronomici. Non ultima l’accoglienza: mediante camere, appartamenti e un’area wellness di primordine; a mio avviso il cosiddetto valore aggiunto dell’impresa familiare.
Nel 1993, allo scopo di promuovere e valorizzare i prodotti dell’azienda agricola, Camillo Rosset decide di inaugurare il ristoro agrituristico conosciuto oggigiorno come Maison Rosset. La formula, come in ogni agriturismo che si rispetti, prevede un menu composto da pietanze le cui materie prime sono integramente allevate, coltivate e dunque prodotte in casa; è possibile optare per l’opzione interamente vegetariana. Ho particolarmente apprezzato inoltre il tema del prezzo fisso che comprende anche il coperto e il vino che più avanti vedremo. L’arredamento della sala dove abbiamo pranzato risulta molto accogliente, l’atmosfera è calda, rilassata: legno in ogni dove, mattoni a vista dunque tanta pietra che rimanda al territorio circostante. Il servizio di sala è attento ad ogni dettaglio e il padrone di casa non risparmia sorrisi, e attenzioni, sin dal primo istante in cui ci si presenta.
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Abbiamo iniziato il viaggio gastronomico mediante antipasti caldi e freddi: tartine di pane nero (burro, miele e lardo/pancetta), salumi della casa, crostini di paté di fegato, tometta fresca, cotechino, patate e formaggi della Maison Rosset accompagnati da una marmellata di peperoni, flan di verdure e frittelle di mela. Pietanze che hanno come minimo comune denominatore il pieno sapore della materia prima, la persistenza, il gusto essenziale di ogni singolo ingrediente scevro da qualsivoglia sovrastruttura.
Se fossi costretto a scegliere un piatto fra tutti, indubbiamente il cotechino, e il suo giusto mix tra parti grasse e magre, ha letteralmente rapito il mio cuore. Proseguiamo con i primi piatti: gnocchetti della casa alla fonduta e ravioli di carne stufata. La prima portata, a mio avviso, è stata volutamente tenuta un filo indietro di sale affinché l’irruenza gustativa del formaggio non prevaricasse saturando i recettori del gusto. Ottima scelta. La seconda invece manifestava un sapore di carne intenso, gustoso, e la scelta di non mantecare eccessivamente il piatto con le solite “quintalate” di burro – alla valdostana per intenderci – una scelta vincente
Arriviamo ai secondi e ad un piatto iconico della Valle d’Aosta, la carbonade di manzo, ovvero uno stufato cotto con abbondante vino e ginepro.
Non poteva mancare un’ottima polenta semi integrale ad accompagnare la pietanza più succulenta dell’intero menu, la carne si scioglieva letteralmente in bocca anche perché la particolarità di questo piatto risiede nel taglio, ovvero piccoli quadratini da 2 cm per lato, forse anche meno. Concludiamo dolcemente il viaggio con un dessert rinfrescante: gelato della casa con cioccolata calda. Una coccola vera e propria, poco altro da aggiungere.
La formula prevede anche una tisana digestiva a fine pasto, il caffè e un bicchiere di grappa; bevande necessarie anche per aiutare la digestione.
Non fraintendetemi, si arriva a fine pasto con una sensazione di sazietà pur tuttavia senza “scoppiare”, anche perché dal primo piatto in poi il servizio è all’inglese dunque è possibile scegliere la quantità di cibo ad ogni porzione. Ottima soluzione anche in vista del tema legato agli sprechi alimentari.
IL VINO Abbiamo accompagnato l’intero pasto con un vino ovviamente valdostano, prodotto da una piccola cantina con la quale Maison Rosset ha un rapporto di grade fiducia, scambio di competenze, e simbiosi per così dire filosofica. Alludo all’azienda Les Petits Riens di Aosta che alleva la vite in condizioni davvero particolari, la cosiddetta viticoltura eroica per intenderci. Lo sforzo dell’uomo, nel corso dei secoli, ha fatto sì che oggi risulti possibile ammirare degli stupendi muretti a secco, Patrimonio Culturale Immateriale Unesco dal 2018, dove poggiano vere e proprie terrazze composte da antichi vigneti. Un quadro di struggente bellezza. Il vino, denominato Mon Rasin, è un blend composto da vitigni a bacca rossa principalmente allevati in Valle d’Aosta: gamay, pinot noir, vien de nus, petite rouge, vuillermin e dolcetto.
Già dal colore si distingue mediante un bel rubino vivace con riflessi porpora e una consistenza media. I toni floreali al naso hanno la meglio accompagnati da un frutto pieno, croccante, che sa di ciliegia matura, ribes rosso; affiora la spezia dolce e una trama nettamente minerale. Un vino che ben accompagna le svariate pietanze descritte senza mai prevaricare; possiede nerbo acido, sapidità e coerenza. Il finale è appannaggio del frutto e una lieve nota ammandorlata vivacizza l’insieme, oltre a tanta freschezza.
LIGNAN E IL VALLONE DI SAINT-BARTHÉLEMY Dopo aver consumato il tipico pranzo valdostano della domenica, non c’è niente di meglio che visitare una delle tante vette che hanno reso celebre la Valle d’Aosta. Partendo dalla strada statale, dunque dal fondovalle, è possibile raggiungere località situate ad oltre 1500 metri d’altitudine in circa 30-40 minuti di macchina. Riguardo il Vallone di Saint-Barthélemy e il suo incantevole “capoluogo” Lignan (1.633 m s.l.m) molto meno, appena 20-25 minuti perché la strada, pur comoda e in ottime condizioni, è piuttosto ripida.
Le località sopracitate fanno parte sempre del comune di Nus. Salendo pian piano, tornante dopo tornante, ci si ritrova immersi in un habitat incontaminato dove è possibile udire un “suono” celestiale a mio avviso, alludo alla più alta forma di silenzio “udita” da chi scrive in tanti anni.
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Un toccasana per tutti coloro che combattono giornalmente contro il proverbiale “logorio di una vita moderna”, come recitava un famoso spot qualche decennio fa. L’osservatorio di Saint-Barthélemy è indubbiamente l’attrazione numero uno, rappresenta la base di importanti ricerche scientifiche ed è inoltre tra i siti più indicati per le classiche osservazioni astronomiche. Il motivo è presto detto: le condizioni favorevoli dovute principalmente allo scarso inquinamento luminoso facilitano in ogni modo questa tipologia di studi e ricerche.
Da segnalare inoltre il Santuario di Cunéy situato a 2.656 metri a nord del vallone. Dedicato alla Madonna delle Nevi, ricostruito nel 1861, l’edificio risale al 1659 d.C ed è raggiungibile a piedi.
La vallata offre inoltre tanti spunti: dallo sport, alle passeggiate all’aria aperta per tutti coloro che vogliono godere della natura e dei suoi tanti benefici. Viene apprezzata soprattutto per lo sci di fondo, grazie ad un centro sportivo apposito che offre svariati servizi e che cura oltre 30 km di piste totalmente immerse in un ambiente incontaminato e di rara bellezza. A mio avviso è adatta a tutte le età per via di un vasto pianoro, appena sopra Località Lignan, che consente lunghe camminate con racchette da neve. Non mancano anche gli alpinisti, che in estate raggiugono la vallata allo scopo di effettuare salite anche piuttosto impegnative, nonché escursionisti in sella alle proprie mountain bike o a cavallo.
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Andrea Li Calzi
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