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COLLINE UMBRE, STORIE DI FAMIGLIA E DI TERRITORIO.

Ai chiostri Milano, l’azienda Pomario, condotta dai Conti Spalletti Trivelli, ha presentato il nuovo cru "Radura". Il Ciliegiolo, il Sariano, l’Arale e il Muffato delle Streghe a completamento dell’esperienza, regalando un saggio delle potenzialità delle colline umbre

di Andrea Li Calzi

 

L’azienda

Pomario è un’azienda vitivinicola, di proprietà della famiglia Spalletti Trivelli, situata più o meno a metà strada rispetto a due importanti laghi: Trasimeno, in provincia di Perugia e Bolsena, nella parte settentrionale della provincia di Viterbo.

La cantina posa su di un poggio incantato sulle colline umbre, interamente circondato dal bosco, ed è composta da un casale e dai vigneti. La proprietà è stata interamente restaurata e vanta una lunga tradizione enologica. A condurre il gioco troviamo l’agronoma Federica De Santis e l’enologa Mary Ferrara, che ogni anno cercano di restituire mediante un calice di vino le peculiarità del territorio e la filosofia aziendale. Sto parlando di 230 ettari complessivi, di cui 9 ettari a vigneto, situati in Loc. Pomario nel comune di Piegaro in provincia di Perugia.

azienda Pomario@Pomario

Raggiungere questa località fa già parte dell’esperienza: una sola strada fatta di piccoli sassi bianchi, che si snoda attraverso un folto bosco. Un piccolo borgo molto ben esposto a 500 metri sul livello del mare, luminoso, e completamente isolato dal resto del territorio; grazie anche ad una folta vegetazione boschiva che lo circonda. Il silenzio a tratti risulta surreale, un vero toccasana per tutti coloro che intendono fuggire dal proverbiale “logorio della vita moderna”. Motivazione che in parte spinse Giangiacomo Spalletti Trivelli e la moglie Susanna d’Inzeo, che giunsero a Pomario quasi per caso, desiderosi di vivere la quiete che caratterizza la regione più verde d’Italia, ovvero l’Umbria, e scappare ogni tanto dal caos della città di Roma.

Il conte Giangiacomo meditava da tempo l’idea di riprendere la tradizione familiare legata al vino, risalente a fine Ottocento. Venceslao Spalletti Trivelli, senatore del Regno assieme alla moglie Gabriella Rasponi, nipote di Carolina Bonaparte, decisero di comprare un’azienda in Toscana dove successivamente il figlio Cesare, nonno di Giangiacomo, iniziò a produrre Chianti.

Ai Chiostri Milano@A.Li Calzi-TWM

La prima vinificazione a Pomario risale al 2009: un tonneau di sangiovese e una barrique di trebbiano e malvasia. Già si ponevano le basi per quelli che saranno i futuri cavalli di razza dell’azienda: Sariano e Arale. Più avanti li vedremo. Da questi primi esperimenti risulta lampante il potenziale dei vini e soprattutto quello del territorio.

Il 2010 fu l’anno della consacrazione, mediante svariati premi ricevuti da illustri testate giornalistiche, mentre il 2011 segna l’inizio dell’attività olearia di Pomario che nello stesso anno ottiene la certificazione biologica. Vengono impiegate tuttora cultivar piuttosto tipiche della zona: frantoio, moraiolo e leccino, e la vera svolta in termini qualitativi coincide con l’acquistato di un piccolo frantoio che consente di frangere le olive entro un paio d’ore dalla raccolta. Ho avuto modo di apprezzare il prodotto, durante un buon pranzo gustato al Ristorante Ai Chiostri Milano, e devo riconoscere che l’equilibrio tra le componenti acide e “dolci” di questo olio extravergine d’oliva risulta appagante; i sentori di carciofo e il finale di bocca lievemente piccante suggellano l’insieme.

Radura

L’incontro Ai Chiostri Milano, tenutosi lo scorso 19 marzo in una cornice davvero suggestiva, ci ha dato la possibilità di conoscere il nuovo vino prodotto da Pomario denominato Radura ( in copertina@A.Li Calzi-TWM). Il corpo vitato dell’azienda corrisponde a un vero e proprio crocevia di luoghi suggestivi. Gli stessi titolari della cantina talvolta si avventurano tra i vari sentieri in parte sconosciuti.

Il vigneto Radura, per l’appunto, prende il nome da una radura incolta, nel cuore del bosco, scoperta quasi per caso percorrendo una stradina che conduce all’oliveto.

Oggi questo luogo è diventato un cru suggestivo le cui viti crescono su un terreno argilloso, coccolato da brezze fresche e un clima mite, a 500 metri sopra il livello del mare. Si tratta di un vigneto impiantato nel 2016 allevato a guyot. L’ambiente pedoclimatico, studiato a fondo dallo staff di Pomario, ha portato a selezionare varietà tintorie a bacca rossa come alicante, colorino, malvasia nera, foglia tonda e un clone particolare di sangiovese. Un vino specchio del territorio e che segue pedissequamente le antiche tradizioni vitivinicole umbre.

etichette in degustazione@A.Li Calzi-TWM

Umbria Igt Radura 2021

Le uve provenienti dal vigneto Radura vengono raccolte in un periodo di maturazione intermedio per le diverse varietà. Il passaggio in anfora di ceramica, dopo aver maturato 12 mesi in tonneaux di secondo passaggio, garantisce una buona stabilizzazione e dunque un prodotto già piuttosto equilibrato a pochi mesi dall’imbottigliamento.

Ciò non vuol dire che il Radura non possa invecchiare a lungo, anzi, tutto il contrario. Veste rubino intenso, tonalità luminosa che ammicca al porpora; medio estratto. L’impatto olfattivo è marcato da una spezia dolce, sinuosa, e da un aroma di legni nobili ben fusi alla materia.

Nell’ordine: frutti di bosco e amarena matura, radice di liquirizia, cacao e note di cosmesi (rossetto in primis), in tandem con suggestioni boschive e lievemente salmastre. In bocca mostra spalle piuttosto larghe senza in alcun modo eccedere in eccessive sovrastrutture. Gli aromi del legno sono piuttosto evidenti analizzando il retronasale, ciò significa che, nonostante il buon equilibrio di fondo, è un vino che ha ancora bisogno di tempo per esprimere il proprio valore. Lo dimostra il fatto che la freschezza deterge il sorso e non arriva mai seconda rispetto alla sapidità; quest’ultima conquista la scena in chiusura e convince appieno riguardo la longevità intrinseca del vino. L’abbinamento ad un piatto di agnolotti ai tre arrosti con burro d’alpeggio, castagne glassate e salvia, è stato particolarmente apprezzato.

Il Conte Giangiacomo Spalletti Trivelli@A.Li Calzi-TWM

Gli altri vini della gamma: Arale, Ciliegiolo, Sariano e il Muffato delle streghe

L’incontro meneghino con Pomario ci ha dato la possibilità di approfondire gran parte della gamma di vini prodotta dall’azienda.

Vengono valorizzati il più possibile i vitigni autoctoni, come già anticipato, e a tal riguardo iniziamo proprio dall’Umbria Bianco Igt Arale 2022, etichetta che ho apprezzato particolarmente. I motivi sono molteplici: spina dorsale notevole in termini di freschezza, sapidità da vendere e profumi perfettamente in linea con il Dna del trebbiano e della malvasia, parte integrante dell’assemblaggio. Un bianco che a mio avviso invecchia benissimo.

E’ la volta dell’Umbria Igt Ciliegiolo 2022, anche questo è un progetto nuovo. Devo riconoscere che per essere la prima annata prodotta, il vino centra appieno le caratteristiche che più apprezzo della nota cultivar allevata principalmente in Toscana ed Umbria. Alludo alla morbidezza del vino, unita ad una beva a tratti compulsiva, e al frutto pieno e mai esasperato – che sa di ciliegia matura – in tandem al chiodo di garofano.

Arriviamo al vino che ho forse amato di più dell’intera degustazione: Umbria Rosso Igt Sariano 2020. Questa volta è il sangiovese a rapire letteralmente i miei sensi, e ciò avviene quando quest’ultimo viene allevato ad oltre 400-500 m. slm., allorché i suoi profumi eccedono in termini di finezza e austerità: ribes rosso, peonia, fragolina di bosco e un’incessante nota di cosmesi ed erbe officinali. Un grande rosso umbro insomma. Ne assaggio un sorso e ritrovo un perfetto andirivieni di sensazioni sapide ed acide, ben bilanciate tra loro e un allungo da vero centometrista. Non seve aggiungere altro.

 

Dulcis in fundo, è proprio il caso di dirlo, giungiamo al vino maggiormente premiato e noto dell’Azienda Pomario, ovvero il Muffato delle Streghe 2020 facente parte della Doc Umbria Bianco Dolce. Un’etichetta che si ispira ai grandi vini da dessert, soprattutto europei, prodotti mediante l’impiego di uve attaccate dalla Botrytis cinerea; lo testimonia ampiamente il blend composto da riesling e sauvignon blanc.

Ho apprezzato enormemente la corrispondenza quasi imbarazzante della pesa Kaiser, tanto in bocca quanto al palato, unita a suggestioni di smalto, miele ai mille fiori, fichi bianchi del Cilento e una scia di calcare che sfuma pian piano. In bocca è semplicemente strepitoso anche, o forse soprattutto, per la totale assenza di stucchevolezza unita ad una buona acidità; il finale è lungo ed appagante.

Un assist perfetto per il semifreddo al gianduia, con nocciole e crema, servito in abbinamento. In tema di contrasti ho apprezzato molto anche l’accostamento dell’Arale 2022 con un piatto di crema di patate affumicata, con uovo croccante, porcini arrostiti e chips di guanciale. Ulteriore riprova che Ai Chiostri Milano si mangia davvero bene.

@Riproduzione riservata

Andrea Li Calzi

Sommelier Ais dal 2011, in tandem con Danila Atzeni, fotografa professionista e sua compagna, autrice, tra l’altro, degli scatti dei suoi articoli, è un grande appassionato per la materia tanto cara a Dio Bacco ed ama la purezza delle materie prime in cucina: proprio l’attività tra i fornelli l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000.
Dopo svariati master di approfondimento sui più importanti territori vitivinicoli al mondo, nel 2021  ha ricevuto il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino. Collabora, altresì, anche con altre note riviste di settore.

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