di Carmen Guerriero
Nel mondo dici Vinitaly e il pensiero internazionale corre subito a Stevie Kim, persona, o meglio, personaggio chiave di riferimento nel mondo del vino italiano. Non a caso, è considerata ambasciatore dei vignerons italiani nel mondo, comunicando racconti di territor+i e di vino attraverso il suo Italian wine podcast, creato nel 2017 e condotto in tandem col prof. Attilio Scienza.
Managing director di Vinitaly International, Stevie vanta formazione ed esperienze internazionali multiculturali che le consentono di interagire a diversi livelli e, in più, col piglio di una mente brillante e creativa, tant’è che ha ideato e coordina una serie di iniziative a marchio Vinitaly. Una figura carismatica che è anche esempio virtuoso per i tanti giovani professionisti aspiranti ad entrare, a vario titolo, nell’intrigante mondo sensoriale del vino. Affabile e anche molto simpatica, l’ho intervistata in occasione dell’edizione corrente, 2023, di Vinitaly.
D.: Qual’è stato il passaggio che ti ha fatto avvicinare al mondo del vino e capire che sarebbe stato la tua strada?
ADR: Sono nata in Corea, ma cresciuta a New York, dunque sono coreana americana. Mi trovo a Verona perché ho conosciuto un veronese, un medico – sorride – “il mio peccato originale è quest’uomo”. Lui ha fatto la prima ospedalizzazione su tessuti alimentari per l’obesità, con indirizzo cognitivo-comportamentale, molto specifico. Ho creduto molto in quello che faceva e, così ho iniziato a lavorare con lui, supportandolo con libri di autoaiuto per pazienti e terapeuti e poi una scuola di formazione per medici e psicologi. Infatti, oggi molte cose che faccio sono una trasposizione di quelle attività nel“vino”, perché non vengo ovviamente dal mondo del vino. Lavorando insieme per tanti anni, ad un certo punto, ho deciso di cambiare e di essere autonoma. Sono economista, vengo dal mondo della finanza e nel 2007 avevo in mente di lanciare un fondo d’investimento sul vino perché all’epoca ce ne erano solo cinque. Mi sarebbe piaciuto lanciare un fondo di fondi durante Vinitaly, mai ci fu un crak finanziario. Tuttavia, sono stata fortunata perché, pur avendo messo in piedi una serie di progettazioni e pianificazioni, non avevo ancora lanciato il fondo. Grazie ad un contatto con Veronafiere che organizza Vinitaly, sono stata reclutata per sviluppare attività internazionale. Strada facendo ho scoperto un prodotto, in cui ho visto una potenzialità enorme per comunicare il vino italiano. “È iniziato così. Sono agnostica, ma credo in un karma”.
D.: Di base, una grande formazione e preparazione?
ADR: Non del vino. Una mente sempre imprenditoriale, di progetti e di posizionamento sia brand che prodotto. A posteriori, si potrebbe dire di riposizionare Vinitaly in modo più internazionale.
D.: Come avevi immaginato quest’edizione di Vinitaly e come ti sembra stia andando?
ADR: Scendo nei padiglioni solo a fine giornata, perché siamo pieni di eventi anche in questi spazi. Come gruppo di lavoro seguiamo un po’ di prodotti per conto di Vinitaly che, per tutti dura 4 giorni, per noi, invece, due settimane. Cominciamo con 5 giorni di Vinitaly International Academy, 3 giorni di concorso, e poi prepariamo OperaWine, evento di anteprima del sabato e poi Vinitaly con degustazioni, incoming e buyers. Quindi da subito con questa serie di eventi creiamo delle aspettative, l’entusiasmo è molto contagioso e, quindi abbiamo già raccolto l’energia di top 130 produttori in Accademy e Opera wine che mi hanno dato il loro feedback. Questa è la prima edizione senza mascherina, il “look and feel”di questa edizione è diversa, sembra più viva, sembra un ritorno alla normalità. I produttori forse avevano aspettative più basse e negli ultimi anni abbiamo affrontato tante sfide, ma finora sembrano più contenti di quello che pensassero. Li incontro nelle serate e tengono a raccontarmi le opinioni: con loro ho un rapporto non solo cordiale, quanto piuttosto schietto, perché i loro feedback sono importanti per apportare miglioramenti alle prossime edizioni. Di questo sono grata, finora sembra ok, rispetto all’anno scorso la curva di entusiasmo è in salita.
D.: Come immagini il futuro della promozione del vino italiano nel mondo?
ADR: Ho iniziato 12 anni fa a lavorare con Vinitaly. Da un lato dobbiamo focalizzare il vino italiano nella comunicazione affinché un vino sia differenziato, speciale per il consumatore. Dobbiamo aiutare i produttoriin questo senso, perché con tutta la tecnologia che esiste oggi il vino se non ci sono imperfezioni, è solo buono. Poi c’è l’immagine, il packaging, ma la qualità e lo stile della cantina principalmente è ottimo. Non è come una volta, c’è tutta una fascia del patrimonio vitivinicolo italiano fatto di piccole e medie imprese, che sono ottime. Per cui, come differenziare questi vini l’uno dall’altro? Dobbiamo aiutare i produttori a comunicare meglio per trovare l’unicità, una cosa originale di ciascuna azienda, di ciascun vino. Se apri un giornale di vino, specie cartaceo, tutte le pubblicità sembrano uguali: i produttori o sono in barriccaia con la famiglia, o in vigna per illustrare il terroir o toccano un acino o con un calice in mano. Sono tutti uguali. Durante la degustazione a Iconic women in italian wines, cui hanno partecipato i nomi più prestigiosi della viticoltura italiana, ho fatto una provocazione ad Antinori,nobiltà del vino italiano da 26 generazioni, dicendo che tutti vogliono essere Antinori e tutti emulano Antinori perchè, sono il mach point più sexy del vino italiano. Ma non tutti possono essere Antinori, quindi spesso offuscano se stessi. Invece, dobbiamo insegnare ad essere se stessi e a trovare quella “chicca” per differenziarsi dal “vicino di casa”.
D.: Uno spunto per individuare questa “chicca”?
ADR: Devono trovare qualcosa da raccontare che si differenzia dagli altri Io, nel mio ruolo, col mio team, dobbiamo promuovere made in Italy del vino italiano, poi i consorzi promuovono il territorio e ciascun azienda deve promuovere il suo brand, ricordando che fanno parte del vino italiano e del territorio. Poi devono trovare una storia personale. Quando sono approdata a Vinitaly, ho detto alla dirigenza Veronafiere che il nome “Vin Italy” dev’essere assolutamente l’ombelico del mondo del vino italiano, che lo è e deve rimanere così, non dev’essere trasformato in una fiera internazionale, pena la perdita anche della sua anima, secondo me. Rimarrà sempre vino italiano, ma occorre aiutare produttori ed espositori a raccontare la loro storia, finalizzata ovviamente alla sostenibilità economica, oltre quella ambientale, sennò l’azienda non può sopravvivere.
D.: Un messaggio di incoraggiamento per quelle piccole-medie imprese che spesso subiscono l’ombra di quelle grandi?
ADR: C’è spazio per tutti, ma bisogna trovare la storia da raccontare, che rimane e che riguarda la propria “casa”, o, magari, territori poco conosciuti.
Parlando di sfide, ho lanciato Italian Wine Podcast, un podcast in inglese, una trasmissione radiofonica che puoi mettere in pausa e ascoltare quando e dove vuoi. Penso che la moneta di oggi non è euro o dollaro, ma è il tempo Un podcast è una vera riflessione della moneta che contestualizza il senso del valore del tempo. Nel 2017 ho iniziato podcast, il primo anno con ventitremila ascolti e l’anno scorso, tre milioni in un anno, penso che siamo uno dei top nel mondo.
Nessuno è profeta in patria, gli italiani lo conoscono poco perché non è in italiano, tranne una serie insieme con il prof. Attilio Scienza, che si chiama “Everybody Needs a Bit of Scienza”, in inglese e italiano. Un modo non convenzionale per trasmettere informazioni, accellerato durante la pandemia ed oggi in onda tutti i giorni. Se vuoi un aggettivo, siamo prolifici, un modo di accellerare ed essere inclusivi nel modo di lavorare.