Gli Americani amano l’Italia. Dopo il crollo legato al COVID-19, si è assistito ad una crescita impetuosa negli arrivi, che nell’ultimo biennio (2022-2023) sono passati da 2,9 a 4 milioni. La stessa spesa turistica ha visto un forte aumento, attestandosi a 6,49 miliardi di euro, secondo migliore valore dopo quello della Germania (dati Banca d’Italia). Le stime per marzo 2024 ed il periodo di Pasqua sono positive: il mercato statunitense traina la crescita delle prenotazioni aeree, con i passeggeri americani che rappresentano la quota maggiore subito dopo gli italiani (dati Ministero del Turismo).
A confermare questa tendenza positiva vi sono i dati della European Travel Commission-ETC. L’Italia è tra le mete più gettonate del Vecchio Continente dagli statunitensi, posizionandosi subito dopo la Francia (rispettivamente con il 34% ed il 35% delle preferenze). Si tratta soprattutto di turisti che viaggiano in coppia con il partner (36%), che si fermeranno in Europa per 1 o 2 settimane (64%), con un budget giornaliero superiore a 200 euro (36%). Gran parte del quale verrà speso in esperienze enogastronomiche, fra le più gettonate (con il 28% delle preferenze) dopo quelle legate alla cultura (41%) e alla city-life (32%).
Se pensiamo ai numeri, si tratta di un target rilevante, che può trasformarsi in un vero affare per il food system italiano. Ma come? A questa domanda cerca di rispondere lo studio curato quattro mani da Roberta Garibaldi (Università di Bergamo, autrice del Rapporto annuale sul turismo enogastronomico in Italia) e Matthew J. Stone (California State University, Chico), che ci fornisce insight preziosi sui turisti americani e la loro passione per il cibo italiano.
“Il potenziale è alto per l’intero sistema, soprattutto per le ricadute economiche che la loro presenza può apportare alle destinazioni e agli operatori”, afferma Roberta Garibaldi. “Questi viaggiatori sono interessati ad una molteplicità di esperienze. Le più apprezzate sono recarsi in un ristorante per un’esperienza culinaria memorabile (60%), di alto livello/gourmet (46%), acquistare cibo presso un food truck (44%) e mangiare o bere in un ristorante o bar famoso o storico (38%). I dati mostrano che spesso questi viaggiatori ricercano esperienze anche molto diverse tra loro (eventi, visite ai luoghi di produzione) e sono ben propensi a partecipare ad attività extra food”.
Specialmente coloro che viaggiano alla scoperta del vino. Per esempio: negli ultimi due anni, il 49% dei wine traveller americani ha mangiato o bevuto in un ristorante o bar famoso o storico, rispetto al 34% degli altri viaggiatori. Inoltre, la metà dei viaggiatori che hanno partecipato ad un’attività legata alla birra ha partecipato anche ad un’attività legata al vino. Allo stesso modo, il 54% di coloro che hanno visitato una distilleria o un percorso delle bevande (come il percorso del whisky) ha anche partecipato anche ad un’attività enologica.Tra i wine traveler americani, oltre il 20% ha mangiato sia in un ristorante gourmet che in un food truck.
L’interesse per il turismo gastronomico e le esperienze gastronomiche è più importante, tra gli americani, per la Generazione X (nati nel periodo 1965-1980) e per i Millennial (nati nel periodo 1981-1996). Per quanto riguarda la Generazione Z, le esperienze sono spesso limitate dal budget a disposizione, ma la situazione è chiaramente destinata a evolversi con il tempo e con l’aumento del reddito per i più giovani.
Per quanto l’aspetto enogastronomico non rappresenti il motivo principale per cui gli americani viaggiano verso una determinata destinazione, i viaggiatori spesso considerano l’offerta food & beverage nella scelta tra le destinazioni preferite. Di conseguenza, la gastronomia ha un peso rilevante non solo nella decisione finale, ma anche nel processo di selezione tra le possibili destinazioni. La visibilità dell’esperienza via social è un altro aspetto determinante nel criterio di scelta del viaggiatore americano.
Oltre al piacere legato alla cena e all’esperienza degustativa, una forte attrattiva per i food lovers americani è rappresentata da attività come i tour gastronomici, i corsi di cucina e le visite ai mercati. I tassi di partecipazione sono ancora relativamente bassi, ma coloro che partecipano a queste attività sperimentano quasi ogni altra attività alimentare, dalla cucina raffinata ai food truck, agli eventi e ai festival. E stanno guadagnando consenso anche le esperienze in cui i turisti possono conoscere la produzione del cibo e assaggiare i prodotti, dalle visite in caseificio alle fabbriche di cioccolato, dai birrifici alle distillerie. Il cibo di strada attrae gli americani, se è percepito come sicuro da punto di vista della sicurezza alimentare.
Non esiste un singolo tipo di viaggiatore culinario americano. Nel complesso, l’interesse verte sul cibo locale e autentico, e naturalmente sulla connessione dei prodotti agroalimentari con gli interessi personali, in particolare per chi pratica sport (bike & wine) e per chi è a caccia di incontri (turisti single).
Roberta Garibaldi, professore universitario, svolge attività di formazione e ricerca per la promozione dei territori, del turismo enogastronomico e culturale, ed è regista di progetti applicati a livello internazionale, ha lavorato per molteplici Ministeri del turismo ed enti internazionali (da UNWTO-Organizzazione Mondiale del Turismo a FAO). È stata Amministratore Delegato di ENIT – Agenzia Nazionale del Turismo durante il governo Draghi e Vicepresidente della Commissione Turismo dell’OCSE – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. È keynote speaker ai principali eventi sul tema del turismo. Ricopre numerose cariche, tra cui Presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico. È autrice di 23 libri e di oltre 60 pubblicazioni scientifiche. Sono 11 le edizioni del Rapporto sul turismo enogastronomico.
a cura di Redazione