Tanto ambizioso quanto riservato. Due doti che massimamente apprezzo in una persona, specie se si tratta di un professionista.
CHEF, UN TITOLO CHE SI CONQUISTA
Filipe Augusto Dos Santos è a capo della brigata di cucina del ristorante Taverna di Bacco, nel cuore del centro storico di Nettuno, in provincia di Roma. Ricerca costante e sperimentazione senza estremizzazioni sono l’asse intorno al quale ruota il concept creativo di Filipe, nel segno di una cucina contemporanea che trae forza espressiva dal manierismo concettuale della cucina nipponica giapponese, nel segno della tradizione territoriale.
Prima facie quasi un ossimoro, brillando l’una, quella giapponese, per nitore ed eleganza, l’altra, invece, quella tradizionale laziale, l’esatto opposto, per sapori marcati e piatti succulenti e quantità dilatate, caratteristica, in verità, comune a tutta la cucina del Sud Italia.
Mi sovviene il famoso “disegno di toro” di Pablo Picasso, una sorta di metamorfosi disincarnante dell’animale in nove sequenze che, lungi dall’annientarlo, riesce ad esprimere tutta la potenza della sua forza comunicativa rivelando un lato inaspettato, astratto e distonico. Se da un lato c’è la possenza muscolare del toro, dall’altro c’è l’essenza vitale, sottile e impercettibile che Picasso fa emergere.
Nella cucina di Filipe pare cogliere lo stesso approccio semplificativo ed essenziale, dove la “ sottrazione” è alla base di una cucina complessa nella sostanza, ma leggiadra nella forma: “Metto una proteina al centro dell’idea e sperimento due o tre combinazioni intorno. Se è il caso di parlare di processo creativo, direi che il mio possa essere sintetizzato così.”
Un processo di sintesi capace di decodificare la realtà in un concetto e trasformarlo in un segno identitario. “Mi piace creare gusti semplici, ma esplosivi, sapori riconoscibili, qualcosa che dovrebbe far venir voglia di essere mangiato di nuovo.”
Origini brasiliane e formazione italiana all’Alma Gualtiero Marchesi, Filipe ha arricchito la sua esperienza presso le alte cucine di Da Vittorio e della famiglia Alajmo. Oltre un naturale talento, c’è tanto studio, esperienze importanti e costante ricerca che, attraverso padronanza di storia, prodotti, spezie e tecniche di cucina, conquista abilità eccellenti. Ed, in più, il lusso poi, di “disimparare consapevolmente tutto”, secondo l’insegnamento picassiano, per slanci inediti e particolari.
LE SPEZIE, SAPIENTE DIFFERENZA
Il mondo delle spezie è tanto affascinante quanto insidioso. Usate fin dall’antichità per esaltare la naturale sapidità dei prodotti, l’utilizzo richiede molta conoscenza per padroneggiarle. Infatti, se non usate con competenza, si rischia di bruciarle, rovinando il piatto con una sgradevole nota amarognola. Se non opportunamente dosate, si rischia il sovrastamento dei sapori degli altri ingredienti, alterandone equilibrio e piacevolezza. Diversamente, in quantità troppo esigue, il sapore delle spezie risulta poco percepibile e vanifica ogni fruttuosa velleità d’uso.
Una competenza fondamentale, diapason a molteplici sensazioni gusto olfattive, come la fresca balsamicità delle bacche di ginepro, pianta aromatica fin dall’antichità, considerata magica per le straordinarie prorpietà purificanti; lo shiso –o anche basilico giapponese – pianta aromatica originaria dell’estremo Oriente dalle proprietà antiallergiche e antistaminiche, che del basilico ha solo l’aspetto, ventaglio di note fresche di menta, agrumi, timo limonato, ma anche dolci e speziate di anice stellato, cannella, fino a quelle lievemente pungenti di chiodi di garofano. Nel gambero rosso, umeboshi e foglia di shiso (foto n.3, trittico), Filipe utilizza lo shiso verde, piuttosto che quello rosso, a bilanciare morbida grassezza del gambero e acidità e sapidità dell’Umeboshi, condimento impiegato in luogo di aceto o salsa di soia.
Cumino e curcuma sono tra le spezie del mio quotidiano. Di origine indiana, sono diffuse in tutto il Mediterraneo, ma hanno caratteristiche differenti per colore, profumo e sapore: scura e pungente la prima, dorato intenso, calda, dolce, appena astringente la seconda. Da Maestro l’impiego del cumino nel riso Acquerello con calamari, cicale di mare e cumino, (foto n.7, trittico), equilibrio di consistenze, dolcezza e sapidità con il cumino a imprimere un guizzo verticale.
UN RISTORANTE DIVERSO
Nettunia, antica città preromana, addirittura preistorica secondo gli storici (Giuseppe Brovelli Soffredini,”Nettunia” 1923), Nettuno in tempi relativamente più recenti, eretta intorno al tempio del dio Nettuno dai superstiti della ricca città romana di Antium all’alba della caduta dell’Impero Romano. La stessa Torre Astura fu costruita sui resti di un’ampia peschiera di una villa romana e le sue mura, in epoca medievale, vennero estese a protezione cittadina dalle incursioni saracene. “Fuori le mura” dell’antico borgo medievale di snoda il grazioso centro storico di Nettuno, anticamente rifugio nelle sue tante grotte, di famiglie, messi e vino.
Domaine De L’Ile Porquerolles Rosé 2020, Cores de Provence,@TWM
Arredi di design, ampie volte di pietra viva ed un’atmosfera intima sono il mood di Taverna di Bacco, inaugurata nel 2015 dalla famiglia Villani con il desiderio di costruire qualcosa di diverso. Luminoso, dalle ampie vetrate esterne, estensione della saletta interna, il ristorante ha solo sette tavoli e, per scelta, non supera i 20 coperti a servizio. Scenografica la lunga parete attrezzata con cantina a vista che vanta oltre seicento etichette pregiate e di aziende di nicchia, prevalentemente locali e nazionali
In sala, staff al femminile con la proprietaria Lucia Villani e l’amica del cuore, Francesca Catanzani, oggi anche cognata. Territori e vino sono un racconto appassionato di un progetto condiviso nei sensi dell’alta cucina italiana contemporanea: “Se pensavate al mare, dalle nostre vetrate si vede il centro cittadino, non abbiamo proposte tradizionali, ma piatti ricchi di visione e sostanza in parti uguali.”
(In copertina, Filipe Augusto Dos Santos, Taverna di Bacco, Nettuno@C.Guerriero-TWM)
www.latavernadibacco.it
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Carmen Guerriero