Ho attraversato tutta l’Italia del nord, quasi 600 chilometri, dal profondo Nord Est al profondo Nord Ovest per entrare, in punta di piedi, nel magico mondo della Val d’Aosta.
Terra di contrasti, spigoli, roccia grigia, sole e tanta ombra, castelli, pascoli, mucche, vigne, uomini e donne di montagna riservati ma generosi e affettuosi e lavoratori e ironici. Terra di contrasti, appunto.
Come in una favola siamo stati accolti dal sole che illumina milioni di alberi che stanno cambiando colore. Una moltitudine di tonalità di verde e di giallo con sprazzi di rosso dati dalle foglie delle vigne. Siamo a Aymavilles, il comune con la più alta percentuale di territorio coltivato a vigna di tutta la Val d’Aosta.
Solo 53 chilometri quadrati con soli 2.000 abitanti parlanti il Franco Provenzale. Ha tre perle questo splendido comune: il castello che si erge a protezione del paese, ristrutturato da poco, la cripta della chiesa di Saint Léger e il ponte-acquedotto di Pont d’Ael edificato nel 3 a. C.. 2 invece sono i versanti il lato destro e sinistro della Dora Baltea.
Ancora 3 sono le aziende vitivinicole che coltivano e trasformano uve in Aymavilles: Les Cretes, Didier Gerbelle e la Cave de Onze communes. 8 sono i vini che ho degustato che mi hanno fornito un quadro in evoluzione. La ricerca di dare voce ai vitigni autoctoni da parte di queste 3 aziende è ancora lunga e difficoltosa. Si esprime decisamente meglio il Petit Arvine con la sua morbidezza mentre il Neret e il Fumin hanno ancora bisogno di trovare una propria identità. E io sono venuta in questa piccola parte d’Italia per essere presente alla prima vendemmia di San Martino in cui sono state raccolte le uve surmature per creare il vino di Aymavilles che l’amministrazione comunale donerà nei momenti istituzionali.
Ogni azienda ha lasciato i grappoli in 3 filari di uve Neret e Fumin (due antichi autoctoni in fase di riscoperta), combattendo all’arma bianca con tassi/caprioli/cinghiali e uccelli vari, e il 12 novembre 2022 finalmente sono stati raccolti e pigiati.
Un rito ancestrale allegro che segna la fine della campagna vendemmiale. I vini che ho avuto occasione di degustare hanno lo stesso carattere di chi li ha prodotti e mediamente fanno fatica ad aprirsi, sono spigolosi con un’acidità elevata. I bianchi sono più morbidi mentre i rossi presentano tannicità importanti. Ma la Val d’Aosta non è solo vino è anche tanto formaggio.
Ho avuto modo di conoscere Stefano Lunardi dell’Antica Latteria Erbavoglio di Aosta che da anni studia gli alpeggi di alta quota per arrivare a una zonizzazione, insomma creare dei cru di pascoli di alta montagna sia per le diversità dei suoli che per le erbe e fiori.
In Val d’Aosta vive il 40% di tutti i fiori presenti nel territorio Italiano e questa è una risorsa ancora da scoprire e da valorizzare. Ho degustato in anteprima un nuovo formaggio. Il Ronquefleurs una fontina a pasta semicotta prodotta a maggio da un piccolo casaro utilizzando solamente il latte delle sue mucche che per 15 giorni hanno brucato solo un determinato pascolo.
Che intensità olfattiva con sentori di fieno, panna, miele, camomilla. Che morbidezza e che avvolgenza. Insomma un gran formaggio da abbinare agli ottimi vini valdostani o alle patate lesse calde. Da svenire!!
Liliana Savioli
Liliana Savioli