di Liliana Savioli
NAPOLI, UN COLPO DI FULMINE
I vini Campani dovrebbero essere bevuti “in quota”. O in montagna, o sul Vesuvio o, più comodamente, nelle splendide terrazze, ora chiamate rhumpof, degli alberghi napoletani. “Il mio amore per Napoli è scoccato proprio in una terrazza“, allora si chiamava ancora così, di un albergo in centro, una trentina di anni fa.
Ci ero andata per trascorrere l’ultimo dell’anno, oltre a conoscere questa magica città . Mi ero messa in testa di voler godere al massimo dei fuochi d’artificio di cui avevo tanto sentito parlare. Curiosa come una scimmia mi sono avventurata da sola all’ultimo piano, ho trovato una scala che saliva e una porta con il maniglione e finalmente ecco la terrazza. Niente di che, in realtà uno stenditoio ma con una vista spettacolare da cui, sicuramente, mi sarei goduta uno spettacolo pirotecnico eccelso. Felice e soddisfatta tento di scendere ma la porta è chiusa. Irrevocabilmente chiusa. Mi ricordo avevo un maglione bianco e nessun cappotto, faceva freddo. Guardo in giro e scopro la scala di sicurezza. Una chiocciola stretta e sporchissima, ovviamente mai usata o pochissimo. Sporcandomi tutta ho sceso 15 piani con il cuore in gola. Ma quella notte son tornata in quella terrazza, ho bloccato la porta, e ho passato 2 ore di gioia indimenticabile.
VINI CAMPANI, UNIVERSO DI BIODIVERSITÀ
Ritornando ai vini Campani e alle altezze c’è da considerare che la Campania ha ben il 51% del territorio montagnoso e il 35% di colline o rilievi sulle coste. Altro che solo mare e pianure.
Di questo spirito montano me ne sono accorta durante la manifestazione Campania Wines, rassegna promossa e organizzata in cooperazione dai cinque Consorzi di Tutela Vini della Campania (Sannio Consorzio Tutela Vini, Vesuvio Consorzio Tutela Vini, Consorzio Vita Salernum Vites, Viticaserta – Consorzio Tutela Vini Caserta, Consorzio Tutela Vini d’Irpinia) e dal Consorzio di Tutela Pomodorino del Piennolo Vesuvio Dop, realizzata con il cofinanziamento dell’Unione Europea, Campagna Medways_EU “EuropeanSustainability. From Mediterranean to the East: new ways to advance Food” e con il patrocinio del Comune di Napolie della Regione Campania. Oltre cinquemila visitatori in Galleria Umberto I, più di 600 vini in degustazione, 116 cantine, circa cento presenze tra giornalisti e influencer, sei Consorzi protagonisti: si è chiusa a Napoli la seconda edizione di “Campania.Wine”, Noi giornalisti abbiamo avuto la possibilità di degustare, con calma e tranquillità, una significativa quantità di campioni. Ho veramente avuto uno spettro esaustivo dei vini di questa splendida regione composta da un mosaico variegato di eccellenze. Tante denominazioni tra IGT E DOC e ben 4 DOCG per un territorio che produce il 3% del vino italiano. Tanti vitigni autoctoni che creano un arcobaleno di biodiversità. Ma il vino che mi ha creato più emozioni è stato il Coda di Volpe nelle sue vare espressioni quasi da considerarlo il vino identitario di questa regione.
Abbiamo subito scoperto che ha un fratello gemello: il Pallagrello. Da una ricerca dell’Istituto Tecnico Agrario di Avellino è stata rilevata questa unicità. I suoli vulcanici della regione danno un’impronta ben definita a questo vino. Anche dove non ci sono vulcani, comunque,i terreni hanno subito delle influenza dai lapilli spostati dai venti. Un vitigno che è stato salvato, come spesso accade, dai monaci e per moltissimo tempo usato come vino da taglio. Ha bisogno, per esprimersi al meglio di essere raccolto tardivamente. Ha un carattere importante, non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Si esprime raccontando storie di agrumi e frutta fresca e matura e tanta mela renetta. Se degustato nella sua maturità emergono le note degli idrocarburi. Insomma un bianco muscolare. Oggi solo 20 aziende lo vinificano in purezza. Troppo poche per uno stallone del genere. Tra i rossi l’Aglianico con i suoi 3 biotipi (Taburno, Taurasi e Vulture) è quello che ho capito di più. Un unico vitigno con 3 terreni diversi crea 3 vini completamente con anime poliedriche: TAURASI prodotto in suolo calcareo dona note speziate (tabacco, pepe nero, chiodi di garofano) e floreali (fiori secchi petali di rosa; TABURNO proveniente da suolo argilloso calcareo regala note fruttate più equilibrate (in primis mora e ribes nero) e note speziate (meno intense) Mentre il VULTURE , nato su suolo vulcanico dona note di frutti rossi (viola, ciliegia matura) Maggiore morbidezza e concentrazione.
CAMPANIA A TAVOLA
Ma basta parlar di vini, parliamo di pizzeee. Napoli è la pizza, non ci sono discorsi.
“ Le pizze come si mangiano a Napoli, e dintorni,non si mangiano in nessuna parte al mondo“.
Lo dico da golosa di pizza, io che la mangerei mattina mezzogiorno sera e con il caffè. Ma una pizza buona come quella che ho mangiato (non degustato) alle Le Parùle (Ercolano) di Giuseppe Pignalosa non l’ho mangiata in nessuna parte al mondo. Una degustazione di 4 pizze diverse ma una mi ha rapito il cuore la“Provola e Pepe“. Semplice direte voi. E invece no! Di una complessità gustativa eccelsa creando un’armonia inavvicinabile. Sicuramente la pasta ha fatto il suo ruolo e anche tutti gli altri ingredienti di altissima qualità ma è stata l’armonia golosa che mi ha fatto innamorare di questa pizza. A Ercolano, proprio sotto al Vesuvio. Il Vesuvio era la dispensa di Napoli sia di verdure che di carni che sfamava tutta la popolazione di Napoli che nel 600 era la città più popolosa in Europa dopo Parigi.
GLI ORTI, DISPENSE PREZIOSE Tantissimi orti oggi sono stati abbandonati ma non quelli in cui si coltiva il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop. Un’eccellenza Campana che contribuisce a creare delle pizze stratosferiche, ritornando al discorso di prima. Questo pomodorino ha delle caratteristiche fenomenali. Le peculiarità del “Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP” sono la elevata consistenza della buccia, la forza di attaccatura al peduncolo, l’alta concentrazione di zuccheri, acidi e altri solidi solubili che lo rendono un prodotto a lunga conservazione durante la quale nessuna delle sue qualità organolettiche subisce alterazioni. Tali peculiarità sono profondamente legate ai fattori pedoclimatici tipici dell’area geografica in cui il pomodorino è coltivato dove i suoli, di origine vulcanica, sono costituiti da materiale piroclastico originato dagli eventi eruttivi del complesso vulcanico Somma-Vesuvio. E poi c’è da dire che Piennolo non è il nome del Pomodorino del Vesuvio ma la tipologia di conservazione. Infatti, a completa maturazione, viene raccolto e intrecciato in un grappolo, chiamato piennolo. Presidente del Consorzio, una Sabauda, l’Architetto Cristina Leardi ora imprenditrice agricola, che, con il suo staff, sta facendo un lavoro eccelso per la promozione e la conoscenza di questo frutto del vulcano. E anche qui di montagna si parla di coltivazioni eroiche. Ritorno sempre più convita che la Campania è una regione di montagna, non di mare!!
( In copertina, Vesuvio e Golfo di Napoli, credit@C.Guerriero-TWM)
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Liliana Savioli