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COLOSSO DI RODI. MITO, STORIA, CURIOSITA’ E…UN GEMELLO!

Dai depositi museali di Civitavecchia (RM) i frammenti ritrovati in un cassetto dimenticato della celebre statua di Apollo- Helios presentano molteplici similitudini con il leggendario Colosso dell’isola greca, una delle sette meraviglie del mondo antico. Osanna “Un modello virtuoso per i musei archeologici meno noti che punteggiano il nostro territorio”

La Storia del Colosso di Rodi

Tra le sette meraviglie del mondo antico, la statua bronzea dedicata ad Apollo-Helios, massima divinità dell’isola di Rhodos, nel Dodecanneso, Grecia, è quella più affascinante e misteriosa. Filóne di Bisanzio, storico del III sec. a.C., ne riferì con la frase “C’è ora al mondo un secondo Sole

Realizzata nel 293 a.C. da Carete di Lindo, allievo di Lisippo, scultore prediletto di Alessandro Magno, l’imponente statua di Apollo, meglio nota col nome di “Colosso di Rodi”, era alta circa 32 metri d’altezza e fu posta a guardia del porto di Mandraki, il grande porto commerciale di Rodi, capitale federale dell’isola dal 408 a. C. delle tre città di Rodi, Kamiros e Ialissos. L’occasione fu la celebrazione della liberazione dall’assedio dell’isola greca da parte di Demetrio Poliorcete, figlio di Antigono I Monoftalmo, re di Macedonia, in conflitto con Tolomeo I, re d’Egitto- sostenuto da Rodi- per la successione al grande Alessandro Magno.

colossus-of-rhodes, credit@pixabay

Le fonti antiche ricordano il dio con in mano una fiaccola rivestita d’oro, a simboleggiare Fosforo, ossia il pianeta Venere visibile all’aurora nel momento in cui precede il Sole. Il colosso nudo di Carete, costruito in oltre un decennio, fu abbattuto dal disastroso terremoto che sconvolse l’isola di Rodi nel 228 a.C.

I suoi frammenti rimasero a terra per molto tempo, ricordati da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XXXIV, 41 sg.) per la grandiosità, con le dita più grandi di molte statue intere e le immense cavità che si aprivano fra le membra infrante.

Che aspetto aveva?

Tante le leggende intrecciatesi nei secoli sul reale aspetto del Colosso: a gambe divaricate, per via dell’insolita distanza tra i piedi nel basamento (come nella copia di Civitavecchia) a segnare l’ingresso nel porto; con le braccia alzate, a reggere la fiaccola col fuoco, a mo’ di faro per i naviganti o con una mano a protezione degli occhi che scrutavano l’orizzonte.

ingresso Porto di Mandraki, Rodi, Grecia, credit@C.Guerriero-TWM

La postura più conosciuta dai turisti che, ogni anno, affollano la splendida isola del mediterraneo, rimanda all’immagine commerciale diffusa nei negozi di souvenir, cartoline e magneti : un’enorme statua all’ingresso di Mandraki, il porto principale di Rodi, con gambe divaricate ed i piedi su due colonne, dove oggi poggiano le statue di due daini, un maschio (si riconosce dalle corna) ed una femmina. In ogni caso, è davvero suggestivo fantasticarne, seduti su una panchina del porto, cullati dalla tranquillità del giorno che volge al tramonto e tinge di rosa-arancio l’orizzonte. Secondo la tradizione le colonne poggiano nello stesso punto in cui poggiavano i piedi del colosso

Più propriamente, il Colosso doveva innalzarsi nel santuario dedicato al dio Helios, ai piedi dell’acropoli di Rodi in corrispondenza della strada che conduceva al porto.

Non fu mai più ricostruito, ma la storia ce ne ha restituito il fascino intatto, che ha ispirato tanti artisti come Auguste Bartholdi, scultore francese autore del bozzetto della Statua della Libertà di New York, donata dalla Francia e inaugurata nel 1886, sulla base dell’epigramma alla base dell’opera e conservato nell’Antologia Palatina (VI, 171). L’opera condivide, infatti, con l’Apollo-Helios di Civitavecchia, oltre al braccio sollevato con la fiaccola, l‘enfasi del movimento della gamba destra portata all’indietro, espediente usato per aumentare la superficie di posa di un monumento enorme.

Il ritrovamento nei depositi museali di Civitavecchia

L’occasione della riapertura al pubblico del Museo Archeologico Nazionale di Civitavecchia, istituto culturale del Ministero afferente alla Direzione Regionale Musei del Lazio, ha riservato una sorpresa agli archeologi ed al personale impegnato nell’aggiornamento dell‘esposizione, coordinato dalla direttrice Lara Anniboletti e dall’archeologo Alessandro Mandolesi.

Dai magazzini del museo, in una cassetta confusa fra numerosi materiali in pietra, sono emersi tre importanti frammenti in marmo greco, quasi dimenticati, appartenenti a una delle statue più belle e pregiate presenti in museo. In particolare, un dinamico Apollo, alto circa 2 metri che, nei delicati tratti giovanili, nel movimento spiraliforme del busto e nell’esasperazione del rapporto chiastico degli arti, tradisce una chiara influenza dallo stile di Lisippo, l’artista prediletto da Alessandro Magno, uno dei maggiori scultori dell’antichità.

icostruzione grafica Massimo Legni (Architetto Designers), credit@museo archeol. Civitavecchia

L’opera, databile al I-II secolo d.C. come il più celebre e restaurato Apollo Belvedere dei Musei Vaticani – considerato replica di un bronzo dello scultore Leochares,, fu rinvenuta nel 1957 all’interno di Villa Simonetti, ricadente nella grande villa marittima di Ulpiano. La statua si rinvenne mutila, con accanto i frammenti della gamba sinistra, della mano destra e della fiaccola impugnata, i quali, non reintegrati nel successivo restauro, finirono nei depositi del museo. Su questa mirabile opera si sono concentrati in passato gli studi del prof. Paolo Moreno, recentemente scomparso, specialista di scultura greca e autore di importanti saggi su Lisippo e sui Bronzi di Riace. Moreno, analizzando la combinazione fra fonti letterarie antiche e monumenti di collezioni archeologiche, ha evidenziato la grande qualità e l’importanza iconogafica dell’Apollo di Civitavecchia, considerato nientedimeno che la replica del Colosso di Rodi.

Le impressionanti similitudini

Nella slanciata e armonica torsione del busto verso sinistra, l’Apollo-Helios di Civitavecchia porta, appoggiata alla schiena, la faretra chiusa con la tracolla e, con la mano sinistra abbassata, regge l‘arco, desinente a testa di cigno. È presumibile che nell’originale in bronzo l’arma fosse tenuta lateralmente, in modo da poggiare a terra con un’estremità e creare equilibrio alla parte destra del corpo, eccessivamente sbilanciata dal piede sollevato in punta e dal braccio destro alzato sopra il capo, a reggere la fiaccola ardente. L’arco doveva anche essere funzionale a nascondere i tiranti in ferro ricordati dalle fonti per fissare a terra l’opera colossale. L’identificazione dell’Apollo di Civitavecchia con il Colosso è rafforzata ulteriormente, secondo Moreno, dalla quasi identità del giovane volto – il moto del capo verso l‘alto, la bocca semiaperta, le palpebre appena abbassate nello sforzo di guardare in alto e i dettagli della capigliatura con anastolé frontale – raffrontato con una testa in terracotta conservata al Museo di Rodi che, presentando i fori per il fissaggio della corona di raggi, è indiscutibilmente una replica del dio Helios.

testa di Apollo Helios, credit@museo archeol.Civitavecchia

La testa di Rodi, unitamente all’impostazione complessiva dell‘Apollo di Civitavecchia con la fiaccola alzata, ci consegnano probabilmente l’immagine più completa e credibile del celebre Colosso di Rodi, che riproponiamo con la ricostruzione grafica di Massimo Legni (Architutto Designers).

La riscoperta dei frammenti marmorei nei magazzini del Museo di Civitavecchia, mai reintegrati poiché la statua è lacunosa di parte della gamba sinistra e del braccio che sosteneva la fiaccola, oggi esposti in Museo accanto all’opera, permettono di modellare tridimensionalmente l’Apollo-Helios, e di comprendere appieno la maestosità del gesto e l’imponenza dell’assetto scultoreo, in piena adesione alla ricostruzione grafica già ipotizzata dallo studioso.

(In copertina, porto turistico di Rodi, Dodecanneso, Grecia, credit@C.Guerriero-TWM)
@Riproduzione vietata

Carmen Guerriero

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